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Il sentire dà senso alla vita

Sentire o non sentire: questo è il dilemma.


Se stai leggendo queste note, probabilmente sei fuori dal dilemma. Hai scelto la via del sentire.


Sentire è la vita stessa. Ecco perché facciamo di tutto per tentare di provare emozioni. Che bello emozionarsi a un concerto, ridere a crepapelle per la battuta di un comico o di un amico, lasciarsi andare nelle braccia del proprio amore e spalancare gli occhi di sorpresa per un tramonto mozzafiato! Questa sì che è vita!

Ma se il sentire equivalesse solo all’emozionarsi per questi motivi la nostra vita dipenderebbe da pochi momenti tutti causati da fattori esterni.

In effetti, così è la vita della maggioranza della popolazione di questo mondo. Perché?


Cerchiamo elementi esterni, perché nel corso della vita abbiamo abbassato la soglia della nostra sensibilità. Questo è accaduto perché sentire non aveva valore per chi ci stava intorno. Tutti erano e sono interessati al nostro risultato.


Andiamo a quando eravamo studenti e avevamo i compiti da fare. Abbiamo mai trovato qualcuno interessato al nostro processo interno? No, tutti interessati a vedere se ottenevamo un 6 o un 10 e a giudicarci da quello.


E abbiamo iniziato a pensare che la vita fosse risolvere problemi. Abbiamo iniziato a interessarci alle strategie, alle "tecniche". La nostra energia si è spostata nella testa per MIGLIORARE. Già, che ossessione quella del migliorare o di essere il migliore!


Però, è naturale sentire. Il nostro cervello continua ad assorbire l'ambiente ed elaborare senza sosta. La natura vorrebbe che queste sensazioni emergessero in superficie come vibrazioni del nostro corpo, del nostro Essere. Siamo fatti per sentire!


Ma la maggior parte delle persone non è interessata al processo interiore. Tutti, anche noi, siamo diventati interessati al risultato: a ciò che si vede e a ciò che vedono gli altri. Non c’è tempo per percepire, vedere, ascoltare, provare a vedere l'effetto che una qualunque cosa fa dentro di noi.


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Che fine ha fatto la vita?


Se la vita è sentire, che fine ha fatto la vita?


Per sentire, per sentirci, ci sono rimasti la lotta oppure cercare eccitazione con mezzi esterni.

Abbiamo spesso bisogno di un nemico. Abbiamo bisogno di arrabbiarci. Abbiamo bisogno di andare contro qualcuno. Ci fa sentire vivi. Abbiamo bisogno di un gruppo che la pensi come noi perché così riusciamo a sentirci parte di “qualcosa di più grande”!

È quello che succede ogni giorno su Facebook: andiamo alla ricerca di opinioni da contrastare, persone con cui dissentire e far sentire che noi abbiamo ragione e loro torto. Oppure cerchiamo amici in cui riconoscerci e che con le loro foto - posti visitati, situazioni vissute, piatti all’apparenza gustosi, paesaggi - ci rendano la vita un po’ più eccitante e interessante.


Ti sei mai chiesto perché il sesso sia sempre in cima ai pensieri di tanti? Perché fa sentire vivi, anche solo per pochi minuti o poche ore. Fa sentire la vita che si accende dentro di noi così come la lotta fa scorrere l'adrenalina.


Con il tempo, in realtà, ci si può spegnere a tutto ciò che la vita offre veramente e per cui vale la pena vivere. Il miglior dono che abbiamo ricevuto è la sensibilità. Pur di sentire che questa vita ha senso, siamo disposti ad abbracciare all'esterno qualsiasi cosa ci tenga vivi.


Eppure sarebbe facile. Perché il sentire è presente in ogni momento.


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Pensare, ottenere risultati versus sentire


Immaginiamo una bellissima giornata di aprile. Stiamo andando al lavoro o siamo in giro per una commissione. Ci troviamo ad attraversare un parco. C’è il fresco della primavera, i fiori, i colori, i profumi. La nostra testa non ha molto spazio per tutto ciò che sta accadendo intorno a noi. Che dico? Noi abbiamo dei problemi da risolvere! E a volte ci sentiamo noi il problema. Rimuginiamo, ad esempio, sulla cosa che abbiamo detto, su come l’abbiamo detta, su quando l’abbiamo detta, su cosa dire nell'incontro che ci aspetta. Siamo preoccupati dal nostro ritardo, dalla nostra mancanza, dal nostro senso di colpa, e così via.

Per lo più, siamo immersi nei nostri pensieri. Abbiamo così tante cose da fare...

Sarebbe tempo perso, per la mente, se notassimo tutti quegli insignificanti particolari dei fiori, dei colori, dei profumi. Sarebbe tempo sprecato se ci lasciassimo prendere dal lato "estetico" della vita. Tanto quelle cose sono lì: posso sempre ritornarci domani o nel giorno di festa!


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Cosa stiamo a perdere tempo!


Così è nata la divisione dalla realtà. In fondo, la parola divertimento ha la stessa radice di divisione. Da una parte il lavoro e il migliorare, con tutto quel pensare. Dall'altro il tentativo di distrarsi con un divertimento originato dall'esterno, nel tentativo di… non pensare. Divertirsi è bello, ma ha perso spontaneità, cioè non nasce facilmente da noi stessi.


Risultato e pensare sono strettamente collegati. Infatti, si dice che la meditazione è per chi ha risolto i problemi del sopravvivere quotidiano. È un lusso. In teoria, più è facile procurarsi il sostentamento, meno dovremmo pensare, più spazio potremmo avere per sentire la vita in ogni momento.

Invece no. Non accade.


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Il dolore è un tabù.


Qui si apre l'altro capitolo, l'altra faccia del sentire. Il sentire non solo non ha valore per il mondo, ma in moltissimi sentiamo anche che ce ne dobbiamo difendere. Infatti, presuppone anche percepire il dolore.

È già capitato che abbiamo sentito il dolore e istintivamente tentiamo di evitarlo. Il cuore ci si stringe in gola. Le lacrime corrono verso l’esterno e ci sentiamo impotenti e molto vulnerabili. Meglio evitare! Meglio chiudersi. Meglio non sentire di essere vulnerabili.


Nessuno ci ha insegnato ad attraversare il dolore. Ci tocca imparare ad attraversarlo con il lavoro su di sé e la meditazione.


Quando ero un giovane liceale, durante gli studi, mi imbattei nella figura della prèfica. La prèfica, nell’antichità, era una donna che, dietro compenso, prendeva parte alle cerimonie funebri. Cantava e si lamentava in onore del defunto.


La perdita di qualcuno può essere molto dolorosa.


La mia giovane mente arrogante subito bollò il costume come un’usanza assurda: come si fa a piangere per qualcuno che non conosci? E per di più a pagamento?


Ho capito, in seguito, che tale usanza era un modo per consentire l’attraversamento del dolore a chi aveva subito la perdita. Un aiuto esterno per evitare un fenomeno normale: la chiusura, il congelamento.


Con la chiusura, il dolore resta lì, incapsulato. Abbiamo evitato di sentirlo, ma continua ad agire. Tanta della nostra energia è impiegata nel tentare di tenerlo a bada. Evitandolo, però, ci perdiamo un pezzo di vita.


La nostra società è ossessionata dall’immortalità per evitare il dolore.


Sono stato qualche mese fa a un funerale. Non solo non c’erano prèfiche a lamentarsi e a cantare il dolore, ma durante il corteo funebre e in cimitero, molti parlavano, alcuni ridevano della storia che gli raccontava il parente che non vedeva da tempo. Il funerale è diventato un luogo di consolazione… inefficace. Troppa distrazione e poco silenzio.


Il dolore fa parte della vita. È inevitabile.


In sintesi, non sentiamo la piacevolezza che ci circonda in ogni momento perché siamo troppo impegnati a pensare. Non sentiamo il dolore perché è un tabù.


Insomma, rischiamo di essere più morti che vivi?


Spero di no. Meditando e lavorando su di sé, possiamo imparare ad attraversare anche gli aspetti spiacevoli della vita con meno terrore e ad usare la mente al nostro servizio e non per esserne dominati.

Questa strada è la strada per recuperare il sentire. Molto dipende da quanto ci impegniamo nel trovare spazi di silenzio per far emergere, attraverso le tecniche di meditazione, la nostra sensibilità. E quando emerge, noi non ci tiriamo più indietro.


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Le meditazioni di Osho


Vorrei condividere il contributo originale e rivoluzionario che ci ha dato Osho rispetto a questo tema.


Premetto che tutti i guru, e per la verità tutte le religioni, finiscono sempre per proporre un elenco di comandamenti. Ci promettono che se li seguissimo, potremmo raggiungere un giorno il paradiso o il nirvana, e potremmo vivere una vita che vale la pena di essere vissuta.

In questo modo, alla fine, tutto si riduce a un fatto di ego. I comandamenti per diventare un buon discepolo sono un altro modo di nutrire l'ego. Alla fine si tratta pur sempre di risultati da raggiungere. L'occhio della comunità ti spia e giudica se stai diventando un buon membro, se ti comporti bene. L'ego dell'affiliato - sempre in sintonia con ciò che accade fuori - si rafforza.


Osho propone un’altra strada. Non è seguendo comandamenti che puoi vivere una vita piena.

La meditazione non è la via della santità. È la via della sensibilità. Sentire è l'unico modo di dare significato alla vita. Senza sensibilità, siamo vuote scatole programmate per soddisfare aspettative altrui o mete esteriori, che cessano il beneficio appena vengono raggiunte.


Osho ci ha donato molte meditazioni originali. Ne ha rivisitate alcune in chiave moderna.


Pensiamo alla dinamica, che ci permette il contatto con le emozioni represse e con l’energia che si risveglia dal letargo di una vita controllata.


Pensiamo alla kundalini, che ci mette in contatto con la piacevolezza e il lasciar andare la rigidità.


Pensiamo alla nataraj, che ci mette in contatto, attraverso la danza, con la tua natura e il tuo ritmo.


Pensiamo alla nadabrahma, che ci mette in contatto con il nostro naturale movimento del cuore: condividere, continuare a dare e a ricevere.


Mettiamo la meditazione al primo posto. Il rilassamento è il primo passo per sentire. Continuiamo e spingiamoci sempre più in profondità.

La strada della meditazione e del lavoro su di sé non può che durare una vita perché ogni giorno accadono cose nuove. Ogni singolo momento - anche nella stessa casa, nella stessa città, con le stesse persone - è carico di novità e stimoli che sfidano ad aprire la piccola casa - l'ego dalle mille sfaccettature - in cui ci siamo rinchiusi.


Non c’è niente da risolvere. Molliamo questa idea del migliorare.

Per me, la ragione più importante per ripulirsi la mente con i gruppi di decondizionamento e con la meditazione quotidiana, è quella di ritornare esseri altamente sensibili.

Solo una mente aperta, un cuore aperto, e la voglia di mettersi in movimento ci possono aprire a vivere la vita come un'avventura e come un mistero che si rivela. Ci possono aprire allo sconosciuto e a tutte le sue sorprese.

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