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Ritorno al centro: da Patanjali ad Osho, io e lo yoga - seconda parte

Questa è la seconda parte dell'articolo Ritorno al centro: da Patanjali ad Osho, io e lo yoga, puoi leggere la prima parte dell’articolo al seguente Link


Ero partito da solo per l’India inseguendo un anelito di pienezza. Il viaggio nel mondo esteriore stava cominciando per condurmi dentro me stesso. Scelsi un posto sicuro dove non mi potessi sentire in pericolo: il Saccidananda Ashram nel Tamil Nadu.


Lo spazio dove si meditava era costruito nel tipico stile di un tempio indiano del sud. Era un luogo di incontro di cristiani, indù e persone di tutte le religioni e di nessuna. Ricercatori di pace e verità. La struttura del tempio era progettata simbolicamente in modo da riunire l'uomo e gli Dei. La sua forma e la sua semplicità ne facevano un luogo pieno di energia spirituale. Il solo fatto di varcare l'ingresso del tempio era già entrare dentro a se stessi.


Nella corte esterna una croce racchiusa in un cerchio rappresentava il mistero cosmico o dharma della tradizione indù. Su questo simbolo la"OM" il verbo, la vibrazione primordiale. La giornata era scandita da quattro momenti di meditazione, mattino, prima di pranzo, prima di cena e dopo cena.

I monaci indossavano una veste color zafferano, il colore dei sannyasin. Ci si sedeva sul pavimento di fronte al piccolo altare in pietra. Si leggevano scritture e canti provenienti dalla Bibbia, dai Veda, dalle Upanishad e dalla Bhagavad Gita. Il rituale univa il Padre Nostro insieme al Gayatri mantra e al rituale della Puja. Le mani venivano passate sul fuoco purificatore di una lampada a olio e su dell'incenso. Il rituale proseguiva applicando sul terzo occhio della polvere di legno di sandalo.


Passavo le giornate andando al fiume, meditando e leggendo Siddharta di Hermann Hesse.

Bede Griffiths, il priore dell'ashram, lo vedevo tutti i giorni durante la messa. Avevo un certo timore reverenziale nei suoi confronti, non riuscivo a contattarlo. Mi feci coraggio e chiesi a brother Martin se poteva fissarmi un colloquio con Bede. Mi ricevette in una strana casetta di legno di tre metri quadrati. Gli raccontai di me. Quando il colloquio giunse al termine gli chiesi se potevo baciare il suo terzo occhio. Lo avevo appena letto in Siddharta. Bede accolse questa mia stravagante richiesta. Forse mi aspettavo degli effetti speciali, non provai nulla. Fu l’ingenuità della giovinezza.


Nell'ashram arrivarono dei nuovi ospiti. Ombretta una psicologa italiana di quarant’anni, e Kulandaysamy il mio nuovo compagno di stanza tamil. Kulandaysamy aveva un colore di pelle scurissimo e bellissimi capelli lisci neri che tendevano al blu. Di lui ricordo che era felice che fossi il suo amico occidentale, e ogni tanto si ingelosiva se parlavo con altri ospiti dell’ashram.


Cominciavo a sentire forte la necessità di vedere anche la realtà fuori dall’ashram e chiesi consiglio a Ombretta che conosceva molto bene l'India.

Mi propose di andare a far visita a un certo Rajneesh - questo era il nome di Osho all’epoca - ma ebbi paura di mettermi in viaggio da solo per l’India, e non collegai che avevo letto in passato un articolo sulla sua Comune in Oregon su una rivista, Gente Viaggi. Persi un’opportunità o forse semplicemente andai incontro al mio destino.


Ombretta mi invitò ad andare con lei a Pondicherry vicino a Madras, ora Chennai. Era in attesa che arrivasse il suo fidanzato dall’Italia.

Ci mettemmo in viaggio su un autobus scassatissimo per molte ore, attraversando le campagne del Tamil Nadu. In viaggio mi insegnava tecniche di telepatia.

Condividemmo la stanza in hotel. Ombretta, da brava psicologa che era, capì che avevo un forte bisogno di manifestare me stesso. Cosa c’era di meglio del canto. Sosteneva che l’acustica migliore era in bagno. Così nel bagno della camera d’albergo mi insegnò a cantare “Tu che mi hai preso il cuor” dall’opera di Lehar Il Paese del Sorriso”, mentre io le insegnavo When I fall in love” nella versione di Rick Astley, ma conoscevo anche la versione di Marilyn Monroe. Ci divertimmo moltissimo a cantare. La notte giravamo per Pondicherry su una carrozza trainata da cavalli cantando il nostro nuovo repertorio.


Tornai in Italia, il mio cuore era colmo di gioia, mi sentivo un eroe e potevo concedermi di amare ed essere amato. Mi innamorai. Guarda caso lei sognava di fare la cantante. Era la mia prima vera esperienza di relazione, e il focus rimase su di lei per moltissimi anni. Quindici per essere precisi.


Nel 2003, preparando un esame universitario sul brano musicale “Merry Christmas Mr Lawrence” del musicista giapponese Riuchy Sakamoto, dovetti recarmi in una biblioteca fuori Milano.Tra i nuovi libri esposti all’ingresso della biblioteca, vidi un libro che colpì la mia attenzione. Era “Una Vertigine chiamata Vita” di Osho.

Ritirai l’intervista di Sakamoto e il libro di Osho. Incuriosito dai due libri, nell’attesa che arrivasse il treno verso casa, leggevo entrambi voracemente spostandomi da un libro all’altro. Ero come assetato. Sakamoto parlava della sua relazione con la musica e del suo modo di essere creativo. Osho parlava del suo processo di illuminazione e di ciò che aveva creato: entrambi parlavano delle stesse cose. Mi resi conto che stavo ancora dormendo. Leggere Osho fu come una sveglia. Intravidi che dal mio rientro dall’India mi ero perso in una relazione simbiotica. Ero totalmente identificato nella relazione, non ero più stato me stesso. Il guscio di quella che chiamavo relazione mi aveva protetto ancora una volta. Esattamente come la mia famiglia di origine. Non mi ero mosso di un millimetro. Non riuscivo a distinguere me stesso dalla coppia. Ero cascato in un amore cieco. Non ero in ascolto di me e non mi percepivo. Fu un terremoto. Uscire da quell'utero protettivo fu caratterizzato da sofferenza e paura.

Lacrime di pianto e gioia insieme inondavano il mio corpo di vitalità. Una vera rinascita. Lei non mi seguì. Fu un salto nel vuoto, un salto nella vita. Decisi che da quel momento volevo che la mia vita si basasse sull’essere consapevole. Chiesi il sannyas.


Dopo 4 mesi mi arrivò il nome dall’India via email, e siccome non conoscevo molte persone nel mondo di Osho non ebbi modo di celebrare in maniera tradizionale il mio nuovo nome spirituale. Mi festeggiarono due amici che mi donarono un mala e mi portarono a pranzo al ristorante.

Ero nuovamente riconnesso alla mia Energia interiore - questo è il significato del mio nome Swami Antar Ojas - o quanto meno stavo tentando una riconnessione.

L’incontro con Siddho e Anurag fu decisivo, inconsciamente li scelsi per specchiarmi. Anurag rappresentava per me il sannyasin che stava nel mondo, e Siddho era ed è il canale tra me e Osho. Sentivo di dover vivere il mio sannyas nella piazza del mercato.


Nel 2007 andai finalmente nel tanto sognato Osho Meditation Resort. Ma come sappiamo, finché non impari la lezione la storia si ripete. Tornai dall’India e mi innamorai di nuovo. Questa volta era una sannyasin. Ma per la seconda volta caddi in una relazione in cui “l’amore” diventa chiusura e non espansione: era la mia modalità. Come disse il maestro Ketut nel film “Mangia prega ama”: “Alcune volte perdere l’equilibrio per amore è parte del vivere una vita equilibrata.” Stavolta la lezione l’ho imparata. Ogni tanto perdo l’equilibrio, ma fa parte del percorso.


Dal mio primo incontro con lo yoga erano passati venticinque anni, saltuariamente praticavo il saluto al sole, ma di fatto lo yoga l’avevo messo da parte. Trovavo lo yoga senza senso, posture vuote. Non lo capivo. Mi ero dedicato per anni alla meditazione credendo che la meditazione da fermi fosse sufficiente per risolvere tutto, e in effetti è così, ma per un occidentale far tacere la mente senza passare dal corpo diventa uno sforzo immane.


Le meditazioni attive di Osho diedero l’avvio a una maggiore sensibilità: infatti sono state create proprio per unire il corpo e la mente esattamente come lo yoga.

Ero separato dal mio corpo. Riscoprii che lo yoga rimaneva sempre una via incognita che mi attraeva. Partecipai a diversi training di yoga, ma non ero mai completamente soddisfatto. Non riuscivo ad unire corpo e spirito. Come sempre però l’esistenza viene in soccorso. Tramite Parvati, un’amica insegnante di yoga, scoprii l’esistenza di un ashram in India dove insegnavano il Tantra Yoga Tradizionale. Decisi di partire nuovamente per questo nuovo viaggio interiore.


Fu un’esperienza di grandi comprensioni non solo da punto di vista del metodo, ma per l’approccio di ascolto verso se stessi. Finalmente lo spirito e il corpo si erano ritrovati. Compresi quanti NO avevo detto a me stesso e quanti SÌ agli altri. La scomodità di dire un no mi aveva fatto cambiare direzione rendendo il mio viaggio complicato. Capii un'altra cosa fondamentale per la relazione d'amore, la coppia non era fuori da me, ma era dentro me. Fino ad allora avevo scelto le partner attratto da delle qualità che pensavo di non possedere. Capii che l'amore che cercavo era in ogni cosa ed era disponibile, era solo questione di sintonizzarsi, anche una leggera brezza che mi accarezzava il volto o le onde del mare che avvolgevano il mio corpo, diventavano amore.

Yoga appunto significa unione, e se lo si pratica con disciplina, il gioco della separazione cade e diventiamo UNO. Non più corpo e mente, ma corpo-mente.


Osho dice: “Yoga è una conversione all'interno, è una totale inversione di marcia. Quando non ti muovi né verso il futuro né verso il passato, ma cominci a muoverti verso te stesso, e poiché il tuo essere è qui e ora... allora puoi entrare in questa realtà.”

Da più di quindici anni apprendo e collaboro con Siddho e Anurag. Da questa esperienza è nato il corso “Yoga: Una nuova visione” (che presto sarà fruibile in abbonamento online su questo sito ndr). Mi sono ispirato ai commenti di Osho sugli Yoga Sutra di Patanjali, che rendono contemporaneo questo testo millenario. Osho mi ha permesso di comprendere lo yoga e trovare una via di accesso all’ascolto di me stesso.


Ognuno vede il mondo in maniera diversa, filtrato da un velo di interpretazione sugli eventi della propria esistenza, ma la vita è qualcosa di diverso. È una corrente fluida nel caos, è nostro dovere ri-scoprire la nostra vera natura e uscire dalle storie e dalle gabbie che abbiamo costruito per sopravvivere. Il tantra yoga mi ha permesso di uscire dalla storia personale che mi raccontavo. Mi ha fatto guardare anche solo per qualche istante agli eventi esterni e a me stesso con occhi limpidi, rilassandomi nella creatività. Mi ha lasciato intravedere spiragli di luce, e mi ha fatto sentire amato dalla vita. E ogni volta che accade una comprensione, cade un velo e riesco a percepire meglio questa sinfonia che è la Vita. Come dice il cantante Morgan “La musica è una grande metafora della vita che descrive proprio lo stare nel mondo. La musica è fatta di accordi e sta a noi trovarli.” Non sempre però ci si rende conto della fortuna che si ha: Essere Vivi. Siamo Coscienza Incarnata. Il corpo diventa il mezzo per lasciarci sorprendere da una storia che non è passato e non è futuro, è presente. Una storia scritta istante per istante.


Voglio concludere questa mia testimonianza, con un brano musicale del mondo di Osho che mi accompagna ancora oggi in questo viaggio e che riassume perfettamente l’approccio che lo yoga e la meditazione insegnano, l’arresa.


“There is so much magnificence, near the ocean, waves are coming in, waves are coming in...” (C'è così tanta magnificenza, vicino all'oceano, le onde stanno arrivando, le onde stanno arrivando...) Buon Viaggio...


FINE SECONDA E ULTIMA PARTE

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